Turco, Claudia Manuela, 2005

Claudia Manuela Turco, L’età dell’oro e della ruggine, Prefazione di Domenico Cara, Milano, Laboratorio delle Arti, 2005, pagine 53, in Literary.it, 1 (2011).

 

Copertina, Turco

 Andrea Mantegna, L’incontro (1465-1474), Camera degli Sposi, Palazzo Ducale, Mantova

 

 

Testo della recensione

Claudia Manuela Turco vanta una lunga militanza nell’arte poetica, in cui ha percorso strade innovative ed è pervenuta spesso ad esiti molto personali.

Di questa raccolta, inscrivibile entro la poesia-frammento come strumento comunicativo del dramma, il prefattore Domenico Cara segnala, proprio nell’esordio del suo intervento, due caratterizzazioni: la brevità e l’enigmaticità.

La poesia “facile” – estesa, discorsiva, comprensibile – non rientra in effetti negli interessi e nell’apprezzamento di Domenico Cara, come egli stesso ha dichiarato in una intervista: “Credo che la poesia realizzata per tutti, semplice, abbia fatto il suo corso”; e per quanto non sia vero che “la poesia facile sia più abbordabile”, essa comunque “rimane piuttosto un linguaggio docile e inutile, che entra a far parte del fiabesco, della filastrocca, dell’ovvietà, dell’effimero”[1].

Quanto alla enigmaticità, si può spiegare la sua essenzialità nella poesia ancora con le parole, di grande acume, di Domenico Cara nella medesima intervista: “La poesia è sempre mistero e si rivolge a chi ha entusiasmo, a chi vuole leggere e capire tra le righe le tensioni e le contrazioni dell’autore. È una scrittura di tensioni, di magmi, dove l’inconscio cerca di esprimersi, e chi prova ebbrezza e volontà di capire, capirà. La qualità del testo si sente dalle caratteristiche del linguaggio, dagli accostamenti, dai sintagmi che ha saputo creare”[2].

In effetti, la poesia nasce dalle profondità dell’animo e si avvicina alla forma comunicativa dell’inconscio: che non è semplice e facile decifrare.

Diversa è la questione, invece, dell’astrusità come caratteristica voluta ad ogni costo: cercare, deliberatamente e per forza, di non farsi capire. Circa le poesie di Claudia Manuela Turco, ad ogni modo, Domenico Cara avverte che sono “senza artificio” e senza “automatico gioco linguistico” (Prefazione).

Comunque, “facile” o “difficile”, non è questo il discrimine che stabilisce la poesia vera – e l’arte vera, in generale. Il discrimine è dato dalla ispirazione profonda, per cui il mezzo espressivo – la parola, ad esempio – nasce insieme al contenuto eidetico e l’uno e l’altro “fanno unità”, costituiscono una sola cosa. Allora, sono poesie valide e importanti sia testi come la semplicissima e “chiara” canzone Chiare e fresche dolci acque del Petrarca o quella leopardiana, elementare e facile, de Il sabato del villaggio, sia un testo enigmatico quale il M’illumino d’immenso ungarettiano. In tutti i casi di poesie autentiche, il testo, che i secoli dei secoli non finiscono mai di scandagliare per comprenderne la portata di pensiero e di sentimenti, arriva immediatamente all’animo del fruitore, e tanta umanità vi si riconosce e si rivive. Tali appaiono alcuni testi della presente raccolta, in cui, cioè, la brevità – collocabile entro la lezione dell’ermetismo – è un bagliore che si sprigiona dal profondo dell’animo ed investe tutti gli animi umani. Quindi mi piace ricordare “Corrispondenza d’amorosi sensi”, dedicata al Foscolo: “Ti persi / in un soffio / per ritrovarti / nel vento”, o Identità mutevole: “Lontano / o vicino, / perdo i miei luoghi”.

Per di più, anche testi che possono essere facilmente compresi e che registrano brani di vita obiettivata – sempre, s’intende, al primo livello della significazione (poiché l’arte, qualunque opera d’arte contiene e condensa significati oltre la connotazione) -, rientrano nella pratica di Claudia Manuela Turco. Ne costituiscono un nutrito esempio testi come Eclisse di sole, La voce solare ed altri, successivi nella impaginazione del libro, i quali non sono parsi avere necessità di chiose e note ad opera della stessa autrice.

La raccolta comprende anche testi da mistero. E allora l’autrice ha sentito la necessità di aggiungere note esplicative.

I testi del mistero, tuttavia, non pare che colliminino esattamente con la pratica del prefattore, il quale mostra di seguire il paroliberismo – secondo la definizione che Marinetti diede alla prassi scrittoria dei futuristi: associare, come se ci fosse un senso logico, parole non aventi alcuna connessione tra loro – e la filosofia dei paroliberisti, secondo cui occorre distruggere la presente civiltà e cultura, e così “dai suoi non-valori rifare la Vita!” (Prefazione).

Le poesie enigmatiche o criptiche di Claudia Manuela Turco ottemperano al criterio secondo cui i testi – e qualunque altra opera d’arte, ad esempio quella pittorica – incomprensibili vanno dotati di un apparato che valga a decodificarli, o esso sia offerto anticipatamente e a livello generale, o esso sia offerto contestualmente e sul piano individuale delle singole composizioni. L’autrice ha corredato le singole poesie di note esplicative. A qualcuno questo sistema non è piaciuto. Si ha, per il vero, la sensazione di leggere testi di autori antichi – quali quelli omerici, ad esempio, o anche solo quelli danteschi o quelli neoclassici, per fare un altro esempio più vicino ai nostri tempi -: testi per la cui comprensione è necessaria una spiegazione di ordine contestuale – per illustrare il significato – e di ordine lessicale – per illustrare il significante. In alcune circostanze le note esplicative si avvicinano a quelle didattiche di un testo scolastico, come quando si spiega, con “Il Grande Dizionario Garzanti”, in pratica con un qualunque vocabolario, il significato di “nutria” – un piccolo roditore – o di “bruma” –: spiegazioni ovviamente necessarie per chi non sia abbastanza acculturato. Comunque, si deve riconoscere che l’autrice si premura di rendere leggibili i testi meno comprensibili e di aiutare a comprenderli anche ai meno attrezzati culturalmente. [Francesco di Ciaccia]


[1] www.italialibri.net/interviste/0309-1.html.

[2] www.italialibri.net/interviste/0309-1.html.

 

 

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