Dorici e Tornay, 1997 e 1996
Nel segno del simbolo, recensione di Ada Dorici, Il giorno della notte, traduzione di Giuseppina Agnoletto, Milano, Eldonejo, 1997, pagine 88; Jacques Tornay, Ogni qual volta non si muore, traduzione di Angelo Fiocchi, Milano, Eldonejo (Tracce 5), 1996, pagine 101, «Rosetum», 9-10 (2000) pagina 21,
Testo della recensione
Mi è gradito presentare due raccolte di racconti particolarmente degni di attenzione per il loro genere di scrittura. In ambedue i casi, la narrativa si muove tra realtà e surrealtà, con l’effetto di un gioco impressionistico in cui i confini tra sogno e vita quotidiana tendono a scomparire. Ciò concorre a rendere simbolico ogni episodio e ogni particolare, anche se palesemente surrealistici sono soltanto alcuni brani. La lettura, comunque, è sempre facile e piacevole. In particolare, per quanto riguarda il libro di Ada Dorici, il quadro globale offre un panorama della vita che è costantemente vista con occhi sia di stupore di fronte alla natura, sia di pietà di fronte alle tristezze dell’esistenza. Il simbolismo, entro il cui orizzonte si snodano gli episodi e la filosofia di vita, si coglie sempre agevolmente, come ad esempio quello del “passaggio a livello” di una strada ferrata, al di là del quale una donna vive un’altra parte di sé, la parte nascosta della propria personalità. È sogno, o è realtà, questa “seconda vita” che ci fa evadere dalla monotonia del quotidiano così affaccendato e anche un po’ bugiardo? È l’uno e l’altro insieme. Il ricordo dell’infanzia rientra a pieno titolo in questo gioco di rifrazioni tra il simbolico e il reale. Prendiamo come esempio il racconto Lezioni di nuoto. L’estate sulla sabbia trapassa dall’orizzonte realistico a quello simbolico della felicità primordiale: “L’estate dava alla mia pelle riflessi dorati e mi riempiva gli occhi di schegge di cristallo”. Poi, dopo il rischio di annegamento, il bambino scorge sua madre che, per salvarlo, ha rovinato il bel vestito, le scarpe, il cappello; e la treccia, che ella portava intorno alla testa, è ora sciolta sulle spalle. L’interesse del racconto non è nel fatto preso in sé, ma nella sua dimensione metaforica, come immagini che si percepiscono nel sogno: una metafora che può assumere diversi significati, secondo la prospettiva nella quale il lettore si pone leggendo gli episodi. Non per nulla il libro ha ottenuto un premio letterario in Argentina, dove la scrittrice tuttora vive.
Nel caso dei racconti di Acque Torna, l’immaginario si infiltra, sottile, nel quotidiano, capovolgendo i significati apparentemente ovvii della realtà. Molte cose, nella vita, sono così scontate, che neppure ce ne chiediamo il perché. Siamo immersi nell’affanno del “fare”, del “correre”, dell’inseguire ciò che fanno tutti, e non diamo spazio al mondo che è dentro di noi. Forse, questo è il messaggio più forte di questi racconti, che sono molto brevi perché ognuno di essi coglie un piccolo frammento del vivere quotidiano come paradigma del vivere universale.
Persino il parlare, il conversare tra persone della stessa specie è così frenetico, che non si ha il tempo di coltivare quella “incredibile massa di immagini, di desideri, di impressioni” che ciascuno ha nel proprio intimo, come dice l’autore in Uno spazio ti cresce dentro. Ma il messaggio non è sempre così esplicito: l’autore preferisce la scrittura surrealista, in movimento continuo tra realtà e sogno. Grazie a tale strategia inventiva, la pesantezza del vivere diventa, nel racconto, il tetto che cala addosso all’uomo appena svegliato dal sonno; il “grido nudo” che attraversa la città, in cerca di una vittima in cui stabilirsi; il baratro in cui, in una notte fitta che cala come un paramento di pece, i passanti, procedendo a carponi per tastare il cammino, rischiano di precipitare; o le due automobili che si cercano, ossessivamente e quasi avidamente, per scontrarsi in un impatto frontale catastrofico. In genere, il punto di vista dell’autore è un giudizio critico nei confronti degli usi e costumi consueti e più diffusi della nostra società: viaggiare ad ogni costo, per trascorrere le vacanze e poi tornare a casa ancor più stanchi; svegliarsi ad ogni costo, magari con la radio ad accensione automatica, ed ascoltare appena svegli le solite atrocità; andare al ristorante, e doversi sorbire i suonatori che ti si piantano davanti. Ma non manca qualche finzione narrativa vitalistica, come il volo di farfalla nella quale si è tramutata una donna, di nome Aria: un racconto gioioso, che non esito a definire disneyano.
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