Buzzi, Franco, 2018
Franco Buzzi, Martin Lutero e il primato della Parola, Milano, Centro Ambrosiano, 2018, pp. 205, in Literary nr. 2/2019.
Testo della Recensione
“Questo non è un libro per specialisti”. Così esordisce l’Autore nella Introduzione. E così esordisco io, nella mia recensione. Per due motivi: primo, perché specialista non lo sono; secondo, perché parlo di un libro che espone il pensiero di Martin Lutero senza disquisizioni. Il discorso è affidato ai testi di Lutero stesso, che Franco Buzzi riprende in sintesi con parole semplici e stile chiaro. Ma l’Autore va oltre. Va oltre il pensiero, e fa rivivere l’animus del pensiero di Lutero.
Sono cose diverse. Il pensiero si riferisce alla dottrina. L’animus è ciò che ha mosso il processo mentale, che ha animato la dottrina. Franco Buzzi afferma che Lutero non pensò di fondare una Chiesa diversa da quella cattolica. Lutero, ribadisce l’Autore, intese riformare l’unica Chiesa fondata da Cristo. Se l’impulso riformatore ebbe come sprone iniziale la crisi morale della Chiesa del tempo, il problema di fondo era da ricercare nella crisi di fede. A me viene da osservare che l’intendimento di Lutero era quello di cercare il senso dell’Evangelo, di andare in fondo al messaggio innovativo di Gesù. Franco Buzzi essenzialmente vuole dire questo.
E qui sorge subito l’interrogativo. Ma non c’era già chi l’aveva indicato il senso vero e profondo dell’Evangelo? Non era già stato chiarito il messaggio innovativo di Gesù?
Prima di contestare l’obiezione, va ricordata un’osservazione recente di un Pontefice romano. Anzi la riferiamo subito, perché in realtà non avanzeremo alcuna contestazione all’obiezione che abbiamo posta. L’osservazione del Pontefice romano è la seguente. A Lund, nel Cinquecentesimo anniversario della svolta luterana nella cristianità nel mondo moderno, Papa Francesco ha osservato: non è stato “il popolo credente e fedele” a volere la lacerazione con il luteranesimo, ma lo sono stati “alcuni uomini di potere”.
In sostanza, la causa della discordia è stata, in radice, la contrapposizione violenta – e non solo in senso guerriero, ma anche in senso polemistico (e riprenderemo subito il concetto).
Qui ancora un’obiezione. Forse la dottrina esposta da Lutero non sarebbe stata la medesima, senza la contrapposizione bellicosa? Non lo sappiamo. Ma forse sì: sarebbe stata la medesima. Però non sarebbe stata medesima la chiusura nei suoi confronti e viceversa.
Ed è qui che torna il problema dell’impostazione controversistica. Franco Buzzi vi pone l’accento nella Introduzione. E spiega che lo spirito controversistico è quello che pone in anticipo una barriera. Anzi: un rifiuto. A questo punto, cioè proprio all’inizio, è come non iniziare a parlarsi. Anzi no: è iniziare a rifiutarsi. L’un l’altro. Con questo atteggiamento non si capisce dell’altro, se non quello che all’altro si può rinfacciare come errore. E così l’errore si sviluppa, cresce, si moltiplica – direi anzi: s’inventa, perché così per alcuni aspetti avviene di fatto –, come si moltiplicano e s’incancrenano le contrapposizioni. Finché alla fine l’uno dell’altro non ha capito se non quello che contraddiceva al proprio intendimento.
Per esempio all’epoca, nel Cinquecento, non si è capito che su un punto della buona novella non si era in realtà tanto distanti: quello della giustificazione per la sola fede. La Dichiarazione congiunta della giustificazione tra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale, del 31 ottobre 1999, poi seguita da quella firmata a Lund il 31 ottobre 2016, stanno a evidenziare come sarebbe stato possibile intendersi meglio, all’epoca.
E c’era, all’epoca, chi pur lo aveva capito. Aveva l’animo innocente. Era evangelico. Un esempio sia il seguente. La marchesa e poetessa, ispiratrice di Michelangelo Buonarroti, e tutto il “circolo degli spirituali” gravitanti intorno al gruppo napoletano di Jean Valdés appoggiavano il cardinale Gasparo Contarini, corifeo della posizione dei riformisti cattolici. In qualità di legato pontificio egli riuscì a raggiungere con i luterani nella conferenza di Ratisbona una formula di compromesso. Ma altri personaggi d’alto rango, a Roma – che “zelanti” eran chiamati – la bocciarono. Così zelanti, che fecero scorrere cinquecento anni di sangue e di incomprensione.
Un momento. Non è certo quella bocciatura, la causa della rottura luterana. Ma a quella rottura molto ha giovato, nel senso che ha giovato quella forma di caparbietà.
Interessante un altro esempio: la lettura personale della Bibbia da parte dei singoli individui battezzati. Dato che era il “nemico” che aveva promosso la lettura personale della Bibbia, nella comunità cattolica la sua proibizione diventò un chiodo fisso. Il divieto di traduzioni della Bibbia e quindi della sua lettura personale risale al Concilio provinciale di Tolosa del 1229, ribadito, in seguito, ancora in ambito circoscritto, tanto che all’inizio del sec. XVI le edizioni della Bibbia, tradotta, erano già molte. Poi fu proibita. Saltando il percorso dei secoli intermedi, diciamo chesolo nel sec. XX fu ammessa e addirittura incoraggiata la lettura personale della Bibbia, ad esempio con l’enciclica Spiritus Paraclitus (15 settembre 1920) di Benedetto XV, fino ad arrivare a Papa Francesco che ha invitato addirittura a portare con sé un’edizione tascabile per lo meno del Nuovo Testamento. (Ma già da molto tempo era diffuso l’uso di almeno una edizione della Bibbia in ogni abitazione dei fedeli cattolici).
Ciò non vuol dire che l’evangelismo luterano non avrebbe segnato una distanza dalla dottrina cattolica. Ma forse non sarebbe stata così estesa. Forse, avrebbe potuto registrare qualche prossimità in più con l’esperienza e la sensibilità della comunità cattolica, oltre quelle poche che di fatto ci sono. Ad esempio, e ce lo rammenta Franco Buzzi, anche all’interno delle comunità ecclesiali nate dalla riforma luterana si riscontrano forme di esercizio magisteriale analoghe a quelle presenti nel cattolicesimo. Inoltre, forme di vita monastica “sopravvissero – e sopravvivono ancora oggi – nello stesso mondo luterano”, ricorda l’Autore nella Conclusione. Lo stesso vale per la predicazione. La “Parola” di Dio, ossia la rivelazione scritta, come dice il titolo del libro di Franco Buzzi, è certamente fondamentale, per Lutero. Ma il luteranesimo non esclude la parola come predicazione del Vangelo; anzi vi insiste, come rammenta Franco Buzzi nel capitolo «La “comunità dei fratelli”». Riguardo alla devozione o pietà religiosa, il mondo luterano conosce perfettamente la preghiera personale, sia mentale che vocale, anche se privilegiata è quella connessa alla lettura e meditazione della Parola di Dio, come sottolinea Franco Buzzi nel capitolo sulla preghiera.
Alle osservazioni di Franco Buzzi aggiungo un’altra, relativa proprio alla lettura personale della Bibbia in ambito luterano. Ciò mostra come, per converso, uno sviluppo nel mondo luterano – a differenza di altre confessioni protestanti – in convergenza con l’impostazione fissata nel mondo cattolico. Nel breve sviluppo della storia, già nel 1529 Lutero, dopo aver scritto due catechismi, così si espresse: “Il catechismo è la Bibbia del laico; contiene tutto ciò che un cristiano deve conoscere della dottrina cristiana”. Il che è ciò che sostanzialmente, in ambito cattolico, si proclamò per centinaia di anni anche dopo la rottura con Lutero.
Tutte le convergenze segnalate non si può negare che nacquero da necessità imposte o suggerite da contingenze storiche. Ad esempio, la lettura autonoma della Parola di Dio risultò arbitraria, nel contesto della rivolta dei contadini, e in conseguenza di questo fatto Lutero corresse il tiro circa il principio della libera lettura della Bibbia. Si vuole solo sottolineare – e lo faccio io, perché il libro di Franco Buzzi non si diffonde su questo terreno – la dinamica di base: dove cresce l’orgoglio – sia pur “santo” qual si voglia che sia –, marcisce la verità. Né si deve obliare che tutta la vicenda intorno alla verità – quella dottrinale, fatta risalire da una parte e dall’altra alla fede in Gesù Cristo e alla fedeltà all’Evangelo – sia stata incanalata nelle dinamiche politiche. Ad esempio, i principi tedeschi avevano interesse ad osteggiare la potenza imperiale. Si vuole solo ribadire che, se ci si accosta da nemici, nelle questioni religiose, si ha poi bisogno di appoggiarsi a chi le inimicizie le affronta con le armi, le affronta con i criteri del potere temporale della politica e della guerra. Come era avvenuto sempre, nel passato, prima dell’era moderna, e come sarebbe avvenuto poi, nell’era moderna. Nel mondo cristiano, fino alla rivoluzione francese.
Anche la giustificazione per la sola fede è un caposaldo di Lutero; anzi vi si è voluto assommare tutta la sua dottrina. In effetti costituisce un principio basilare. Ma le “opere” sono sul medesimo livello, se per “opere” non si intenda questa o quella buona azione, questo o quel “fioretto” che si fanno fare ai bambini, per amore o per forza. Le “opere”, per Lutero, sono la fede in atto. Egli ha scritto: “Oh, la fede è una realtà viva, operante, attiva, potente in virtù della fede, sicché è impossibile che essa non operi, senza interruzione, il bene. La fede non domanda nemmeno che si debbano fare opere buone, ma ancor prima che si chieda le ha già fatte […]. Chi non fa tali opere è un uomo privo di fede” (p. 114, che cita Lutero, Prefazione alla Lettera di Paolo ai Romani, 1522-1546). Dunque, si potrebbe dire che le opere sono addirittura la misura della fede; anzi, la cartina di tornasole. Più assertori di così della necessità delle opere non si può essere, proprio perché non viene richiesta l’opera buona oltre alla fede, come un atto da fissare perché necessario da compiere per chi crede in Gesù Cristo, ma perché l’opera buona è concepita come frutto immanente alla fede, per cui si dice che se non si dà il frutto non c’è la pianta. Il concetto di “libertà del cristiano”, che si fonda sul principio della giustificazione per fede, è connesso alla concezione delle opere come attuazione visibile intrinseca alla fede, in quanto esclude una qualche imposizione esterna per una qualche operazione esterna – del resto duramente già fustigata da Gesù, ai suoi tempi –, e include, appunto, la dinamica della fruttificazione della pianta, cioè l’esplosione esterna della fede.
Il libro di Franco Buzzi incentra l’esposizione sull’importanza basilare della Parola, per Lutero. Ne mostra il ruolo essenziale nei vari ambiti della fede e del culto. Si vede dunque bene, ad esempio, come la Parola generi la presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nel sacramento, come Lutero chiama anche la Cena. Il libro non intende procedere sul terreno delle differenze, che pur sussistono e di cui l’Autore fa avvertiti, nella Conclusione. Il libro vuol fare emergere l’aspetto positivo del pensiero di Lutero: la centralità della Parola di Dio. [Francesco Di Ciaccia]