Borghini, Alma, 1998
Alma Borgini, Una notte e lo specchio, Prefazione di Silvio Ramat, Firenze, Polistampa (Sagittaria. I testi, a cura di Franco Manescalchi), 1998, pagine 100, in Literary.it, 1 (2011).
Testo della recensione
La poesia di Alma Borgini conosce una strada tutta propria di esprimere il mondo interiore, i vissuti esistenziali: è al contempo distante dal lirismo e dall’oggettivismo, dalla parola enigmatica e dalla ovvietà lessicale, toccando insieme, ma senza adeguarvisi comodamente, inflessioni di ascendenza ermetica e inflessioni di origine impressionistica, ottenendo nel complesso dell’opera un «calibrato intreccio di familiare e di letterario», come osserva nella Presentazione Silvio Ramat.
In questo ambito della poesia di Alma Borgini, la memoria si intreccia sistematicamente con i tempi e con i luoghi della realtà e quindi queste oggettività, diventando elementi di un memoriale vissuto, assurgono a simboli esistenziali. Ad esempio, “via Villamagna”, un preciso posto reale, descritta come “intrisa di glicine e di mimosa” alla fine dell’inverno in un “sopore di primavera” (Dittico), rimanda non più soltanto al luogo effettivo con le sue effettive circostanze, ma anche alla primavera della vita. Una forte connessione tra il mondo reale e il mondo simbolico è ad esempio ravvisabile nelle “foglie d’autunno”, raccolte pietosamente dal figlio (“figlio mio”), in cui si percepisce il cadere degli anni e si intuisce la pietà di chi ha cura dell’impietoso volgere del tempo della propria madre o comunque dei propri cari.
Soprattutto nella prima parte del libro, è da segnalare, mi sembra, il sentimento della solitudine che accompagna diffusamente l’animo di Alma Borgini, anch’essa tuttavia vissuta non come disgrazia o maledizione, ma come risorsa di maturazione interiore: “Ora tocco la forza / della solitudine / e con mano ferma la tengo” (Extremis). Ciò non significa che la solitudine derivi da una aspirazione o sia come un luogo interiore in cui rifugiarsi; la solitudine può risultare un frutto amaro della vita, legata a volte a cocenti e abissali disillusioni: “Mi fidavo / di ogni essere umano – / oltre ogni umano pensiero / mi fidavo di te” (Extremis), quando si avverte, con un senso di vertigine che sembra faccia smarrire ogni punto di riferimento consolidato e certo, quasi sacro, l’ambascia di quello che potrebbe essere un vero e proprio tradimento. Ed è qui, proprio nell’esperienza della solitudine o “sudario della indifferenza” (Compagno), che si insinua la proiezione in un al-di-là del mondo: “Qui Tu sei presente, / Dio” (Compagno).
Una particolarità della scrittura e dell’ideazione poetica di Alma Borghini è nella psicologia femminile o, come si è espresso un critico, è «l’essere donna in poesia» (Selìm Tietto, in «Punto di Vista», nr.27/2001), proprio per la composizione di realismo e simbolismo, per la compenetrazione tra il biografico e il metafisico. I sentimenti sono sempre forti, ma mai esasperati; anzi, tutta la variegata gamma di vissuti e di pensieri – davvero molto complessa e ricca – si libra sempre tra il calore d’una donna e la tranquillità del silenzio, come mi piace sintetizzare con due immagini: “[…] il caldo seno / d’una donna, denso di latte” (Ieri e oggi), e la “muta serenità dei cipressi” (Dallo schermo di un vetro).
La varietà e molteplicità dell’ispirazione che guida Alma Borgini in questa densa raccolta di poesie è espressa in una scrittura che sul piano lessicologico non è né banale, né criptica. La parola è chiara, connotativa, ma possiede, sempre, una potenza denotativa di grande pregranza. Questa mi sembra, sul piano della comunicazione, la caratteristica più importante della presente raccolta. Certo è che non basta leggere queste poesie una volta sola: questi sono testi che esigono molta attenzione e molta riflessione, sono testi che chiedono, oltre ad una pronta intuizione, una sagace esplorazione mentale, ma che si lasciano comunque comprendere e rivelano profonde connessioni semantiche, come in un brano del seguente tenore – scelto a caso, tra i tanti -: “Macchie di neri pini / s’infoltiscono all’afa della notte. / Vi s’innostrano volti affini / […]. / Non ricordi, parvenze / risucchia la risacca / che ne fa sterpi e sabbia. / Segrete frusciano presenze / in questa cupa assenza verde / lago d’infinita continuità” (Presenza – Assenza) (in cui l’assonanza onomatopeica “risucchia – risacca”, peraltro molto efficace, risulta un espediente retorico assai raro in queste poesie). [Francesco di Ciaccia]
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