Merelli, F., Le cappelle, 1991
In sovraccopertina: acquarello del pittore Damaso Bianchi
P. Fedele Merelli, Le cappelle del Rosario al sacro Monte sopra Varese: l’opera dei Cappuccini, Presentazione di P. Fidenzio Volpi Ministro provinciale dei cappuccini lombardi; copertina fra Damaso Bianchi, Milano, Centro Studi Cappuccini Lombardi, 1991, pagine VI+213, «L’Italia Francescana», 4 (1991) pagine 308-310.
Testo della recensione
L’impegno archivistico di Fedele Merelli, dopo le meritorie pubblicazioni sulla corrispondenza epistolare di Federico Borromeo e del card. Andrea Ferrari con i Cappuccini o sui Cappuccini – solo per citarne alcune -, ha prodotto una nuova opera che raccoglie, in un centinaio di pagine (pp. 103-198), sessantotto documenti, quasi tutti inediti, sull’attività dei Cappuccini per la costruzione e la conservazione delle cappelle del Sacro Monte sopra Varese. La scrupolosità e l’onerosa ricerca archivistica del Merelli gli permettono di stabilire alcune verità che, nel fervore a volte animoso degli studi al riguardo, sono state o trascurate o travisate per presupposizioni di ordine storiografico. È questo l’aspetto dell’impostazione storica al quale l’autore vuol fare avvertito il lettore, quando nell’introduzione segnala che «non è sufficiente conoscere il periodo storico, le vicende della controriforma, la storia dei sacri monti, per spiegare l’origine e il significato delle cappelle del Rosario» in questione. Alcuni studi al riguardo, infatti, hanno stabilito il significato «storico» e il senso religioso di queste Cappelle – così come di altre realizzazioni attinenti ai sacri monti – partendo dal «contesto generale» del periodo, cioè «deducendo» dalla teoria sulla storia globale dell’epoca, cioè dal «generale», il valore del caso «particolare». E ciò è stato compiuto – sottende talora e dichiara tal’altra l’autore – ignorando, obliterando o a volte torcendo i dati individuali circa il fenomeno specifico, quali le fonti, magari inedite, rivelano ed attestano. E proprio sulla trascuratezza dei documenti da parte degli studiosi si appunta l’osservazione del Merelli, anche se diplomaticamente egli volge in positivo la questione, annunciando di attenersi «il più possibile ai documenti ed ai fatti, perché manca uno studio di questa natura, non solo in rapporto ai cappuccini, ma anche in rapporto alle stesse cappelle». Orbene: l’importanza del documento si radica nell’esatto convincimento secondo cui, per tentare una interpretazione dei sacri monti – come di queste Cappelle «varesine» in particolare -, occorre, in primo luogo, fissare quale sia e come si sia svolta la «storia reale» di ciascun compimento, e solo in un secondo momento ad una «teoria» sul fenomeno.
L’intento dell’autore è quello di dimostrare «che i cappuccini hanno avuto una parte essenziale nella fondazione, nello sviluppo e nella conservazione delle Cappelle del Rosario. Li abbiamo visti [attraverso i documenti] all’opera come predicatori, come questuanti, come direttori dei lavori. Anche dopo le varie partenze dal sacro Monte, non sono mai tornati spontaneamente, ma richiesti con insistenza da coloro che vedevano nella loro opera la continuità e l’efficacia delle loro iniziative». La puntualizzazione secca e ripetuta dell’autore ha una funzione contrappositiva rispetto alla posizione «filosofica» – come egli la definisce – secondo cui le Cappelle, essendo state volute da «Federico Borromeo» ed essendo costui controriformista, si spiegano entro il quadro della politica controriformista; ed inoltre, essendo la realizzazione delle Cappelle un’esigenza sempre esplodente dall’anima popolare, la predicazione cappuccina – come ogni predicazione in genere – costituisce solo «cassa di risonanza» e non propulsione dell’opera compiuta. I documenti svelano, invece, che Federico Borromeo trovò l’opera già iniziata: il 1610 non è infatti, come hanno equivocato alcuni, l’anno di inizio della costruzione delle Cappelle – da collocare invece nel 1604 -, ma quello del breve pontificio di Paolo V, che, confermando quanto già stabilito, decretava che la proprietà delle stesse, una volta ultimate, passasse al monastero delle monache del Sacro Monte. Il Borromeo – precisa l’autore – «è quasi inesistente» come artefice, anche se firmava ovviamente i documenti (predisposti dai segretari), tanto che il suo biografo, Francesco Rivola, che gli attribuisce, e pure a torto, la paternità del sacro monte di Arona, non fa menzione di quello di Varese. Quanto alla predicazione dell’iniziatore padre Giambattista Aguggiari da Monza, il Merelli rammenta che, se è vero che una pratica devozionale come «salita» al sacro monte di Varese già esisteva, la prospettiva dell’oratore vi aggiungeva elementi sia autobiografici – assolvere ad un voto privato per guarigione ottenuta -, sia francescani, quale la «contemplazione fisica» della vita di Gesù attraverso immagini realistiche ispiratrici di pietà.
Interessantissima è poi la «storia», seguita via via scorrendo i documenti: storia di «beghe» tra chi era interessato alle questioni economiche, da una parte – la commissione della fabbriceria -, e chi, dall’altra, i Cappuccini, sospettati di perseguire profitti a vantaggio dell’Ordine, che erano proiettati solo verso un fine spirituale. Ma non vi sono soltanto animosità, intrighi, miserie, in questa storia documentata; si trovano esposte anche le originarie intenzioni del padre Aguggiari, i decreti episcopali per la salvaguardia delle Cappelle e molte notizie che servono a comprendere, alla fin fine, come sia facile pregare e come sia difficile mettere in piedi qualcosa che aiuti a pregare. [Francesco di Ciaccia]
P. Fedele Merelli, Le cappelle del Rosario al sacro Monte sopra Varese: l’opera dei Cappuccini, Presentazione di P. Fidenzio Volpi Ministro provinciale dei cappuccini lombardi; copertina fra Damaso Bianchi, Milano, Centro Studi Cappuccini Lombardi, 1991, pagine VI+213, «Studi e Fonti di Storia Lombarda. Quaderni Milanesi», 29-30 (1992) pp. 129-131.
Testo della recensione
Il libro raccoglie sessantotto documenti, quasi tutti inediti, sulla tormentata vicenda della costruzione delle Cappelle del sacro Monte sopra Varese (pp. 103-198): vicenda tormentata – ho detto -, sia sul piano dei fatti storici, sia su quello dell’interpretazione storiografica. Per tale motivo l’apporto dell’autore risulta oltremodo opportuno, poiché offre una documentazione preziosa per chiarire eventi e controversie annose, che non hanno mancato di accendere diverse polemiche nel passato ed anche recentemente. In particolare, il merito del libro è dato soprattutto da quella documentazione inedita che colma la lacuna iniziale del volume Origini, e progresso delle cappelle nel Sacro Monte sopra Varese, le cui prime 17 pagine, concernenti l’autore e i “motivi” ispiratori delle stesse Cappelle, sono misteriosamente mancanti nel manoscritto dell’Archivio Storico Diocesi Milano (Sez. X – Varese, vol. 109). Ma altra documentazione inedita testimonia anche il prosieguo dell’opera delle Cappelle e l’attiva presenza dei Cappuccini al sacro Monte. Il tutto, inoltre, è osservato con l’occhio di chi ha compiuto un altro importante rinvenimento “rimasto sconosciuto fino ad oggi” – avverte l’autore -: quello del manoscritto intitolato Additione al libro delle fondazioni de’ conventi della provincia di Milano, che espone l’opera dei Cappuccini al sacro Monte dal 1604 al 1699 e un cui capitolo recita appunto così: “Rinontia fatta dal padre provinciale e padri deffinitori dell’assistenza e cura sostenuta da noi cappuccini del sacro monte sopra Varese”. Il volume sarà in seguito pubblicato a parte dall’autore, come egli preannuncia (p. 5); ma già in questo libro vengono corrette sostanziali “verità”, che si ritengono certe in base ad elucubrazioni sulla storia generale del tempo e a volte in base a fantasie estensive, ma che si dimostrano errate nel concreto della storia documentata. Anche dai soli testi qui prodotti, inoltre, la trama del compimento e della cura conservativa delle Cappelle si disvela romanzescamente avvincente (e un po’ avvilente) per gli innumerevoli intrighi di cui è disseminato il suo itinerario a partire dal 1604, data dell’inizio della realizzazione promossa dal padre Giambattista Aguggiari. E qui vai la pena di anticipare al lettore alcune delle notizie: conflitti di prospettive ideali e pratiche tra i predicatori cappuccini e i deputati della fabbrica, dichiaratamente timorosi che i frati tendessero ad accaparrarsi, con l’occasione della cura delle Cappelle, un conventino (l’“ospizio”) in loco; la gelosia delle monache del sacro Monte, le quali, benché avessero avuto da Paolo V (Et si rationabilibus, 30 settembre 1610) confermata e garantita la proprietà delle Cappelle una volta che queste fossero state ultimate, sospettavano che i frati le defraudassero delle offerte depositate dai fedeli nelle Cappelle; al contempo, le connivenze e le divergenze tra i direttori spirituali delle monache e gli interessi del monastero stesso; gli interventi quasi inefficaci dell’autorità episcopale, che rinnovava decreti – imponendo ad esempio determinate scadenze per le riunioni dei deputati della Fabbrica -, ma non conseguiva effetto; le imposizioni da parte delle congregazioni dei fabbriceri, che non facevano le riunioni imposte ma pretendevano che il curatore spirituale delle Cappelle conferisse alle congregazioni su tutto quello che facesse o intendesse fare al sacro Monte, e così via. Da tutti questi coinvolgimenti pasticciati – il Marelli li puntualizza con acribia – derivarono non solo malevolenza e dispetti, ma anche pretestuose accuse e qualche calunnia contro i frati. Nella sua ampia introduzione l’autore presenta lo spaccato preciso e limpido di questa storia arroventata, non mancando di evidenziare vibratamente, tra i rigorosi lineamenti storici, qualche ingiustizia ritenuta di troppo. Comunque sta di fatto che più volte i frati abbandonarono, esasperati, la cura delle Cappelle, e più volte vi furono richiamati: sommessamente, ma decisamente, si insinuavano da parte dei responsabili della Fabbrica ragioni ben solide, e cioè le ragioni economiche, poiché i Cappuccini, benché incriminati di sfruttare a proprio vantaggio la presenza al Sacro Monte, di fatto portavano alla Fabbrica molte più offerte, in natura e in danaro, di quei religiosi con cui erano sostituiti. Alla fine, non potendone più, i frati si disimpegnarono definitivamente nel 1756: i sospetti lanciati contro di loro erano insostenibili, e per giunta nel 1752 si tentò di mettere in dubbio il ruolo di padre Aguggiari nella realizzazione delle Cappelle. E la questione “intriga” ancor di più, se si tien conto di questo particolare: le monache, con cui inizialmente l’Aguggiari si era inteso per il compimento dell’opera ma che in seguito, pur dopo documentate richieste per averli divennero ostili ai Cappuccini del Sacro Monte, continuarono a mantenere un rapporto di amicizia con l’Ordine cappuccino, inviando anche in seguito le offerte monastiche (l’“elemosina”). Allora varrebbe la pena di approfondire l’ipotesi avanzata dal Marcili: che “dietro” le monache ci fosse qualcun altro – il cui nome compare in questi documenti – che ordiva la trama. [Francesco di Ciaccia]
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