Lo Sardo, Domenico, Sine Templo, 2019
Recensione di Domenico Lo Sardo, Sine templo nulla scriptura. Il Tempio nell’Antico Testamento e nella storia d’Israele, Assisi, Cittadella Editrice (Studi e ricerche, Sezione biblica), 2019, pp. 308, ISBN: 978-88-308-1709-8, «italia francescana», 2 (2021) 341-343.
Testo della Recensione
È arduo riferire in poche righe un saggio densissimo di contenuti e tanto articolato nelle indagini bibliche che toccano ambiti storici, esegetici, ermeneutici e filologici ed è perciò giocoforza, per me, selezionare una linea espositiva. Il gioiello editoriale di Domenico Lo Sardo intende rilevare tra l’altro quanto l’argomento «Tempio» sia stato centrale nell’arco narrativo da Genesi alle Cronache, anche perché le «Scritture» nascono per lo più nel Tempio e comunque sono maturate grazie al Tempio, per cui sono «Sacre».
Tempio sì, ma in radice c’è l’“Io con te”. Proprio da ciò trae valore essenziale il “tempio-santuario”, il templum-tempus (“recinzione spazio-temporale”) sacrum e proprio con questo abbrivio l’Autore connota della presenza di Dio tutto il proseguo del libro. Sempre in termini preliminari, per “luogo” del Tempio non si intende solo un bene letterario ed estetico, ma propriamente un’entità fisica “che legittima e rende ragione d’esistenza di tutta la Scrittura”, in quanto non si dà celebrazione cultuale senza “un’aula liturgica” (p. 39).
Partendo poi dai primi elementi cultuali nel libro di Genesi, bisogna contestualizzarne gli aspetti letterari e architettonici con quelli già fiorenti del Vicino Oriente Antico (VOA) i quali, pur con le differenze rispetto alle realizzazioni bibliche, costituiscono un riferimento “imprescindibile” per la comprensione di questi ultimi: è inevitabile infatti che una cultura sia influenzata da un’altra che la precede (p. 55). Ciò consta proprio alle origini veterotestamentarie con la configurazione “templare” di altari e stele di pietra in posizione verticale, rispondenti all’esigenza di provvisorietà: un “mausoleo cultuale” diffuso già in molte regioni ed epoche (p. 69). Ma già allora, con il santuario di Betèl, si giunge all’espressione “casa di Dio”, destinata poi a designare l’identità del “tempio”.
Vale la pena evidenziare che il processo causale e cronologico del luogo cultuale nella Bibbia ebraica parte da un accadimento sacro con una scansione esemplificabile nell’abramitico santuario di Sichem: “teofania, comunicazione divina, costruzione di un altare [che “yahwizza” il luogo], instaurazione cultuale” (p. 210).
La struttura cultuale ebraica, che in epoca caldeica-mesopotamica ha mostrato quelle assonanze con la cultura mediorientale sopra indicate, in età post-egizia, pur realizzata in itinere, si sviluppa già in modo più stabile, che Domenico Lo Sardo preferisce chiamare Tempio in miniatura piuttosto che santuario mobile. Comunque già qui le prescrizioni per il progetto costruttivo, decorativo e cerimonialistico sono numerose e puntigliose – sulle quali l’esposizione dello studioso si dipana con acribia rigorosa, della quale qui mi piace porre l’accento su un concetto che mi sollecita molto: la distinzione-identità del “luogo sacro” come “tenda dell’incontro”, in cui appunto Dio si “fa incontrare” ma non raggiungere, e come Tabernacolo, in cui “Dio risiede”; identità e differenziazione tra il divino dell’ovunque creato e il divino dello “spazio cultuale e liturgico” (p. 98).
Se nel prosieguo storico, in epoca monarchica, il luogo cultuale si configura in forma massiva, al tempo del nomadismo la presenza divina – la «gloria» – si è comunque già proposta con evidenza grazie alla Tenda-Tabernacolo. Da trait d’union tra la fase nomadica e l’epoca della stabilizzazione, passando per l’intermezzo del santuario di Silo, è l’Arca, che nel Tempio in miniatura ha acquisito la funzione cultuale in quanto contenente le Tavole della legge – e che poi a partire da Giosuè assurge a strumento della divina potenza. Per questo periodo di mezzo riferisco l’osservazione dell’Autore, secondo cui “l’altare e l’Arca sembrano fungere da trait d’union a partire da Genesi e Betèl, passando per l’intero Pentateuco, inaugurando l’epoca monarchica fino alla costruzione del Tempio di Gerusalemme”, per cui si può concludere che “Legge e Tempio sono i due capisaldi fondativi dell’identità dell’Israele biblico” (p. 107).
Ed siamo all’epoca del “tempio” per eccellenza: il Tempio di Salomone. L’Autore prosegue l’analisi filologica e storica compulsando meticolosamente i passi scritturistici con i consueti approcci diacronico e sincronico, per assistere ad un atteggiamento nuovo da parte del popolo ebraico ormai giunto a Gerusalemme: garantire la stabilità raggiunta esaltando l’istituzione monarchica. Il Tempio è diventato funzionale alla legittimazione della monarchia quale “istituzione divina”, tanto che la sua struttura architettonica include il palazzo reale: dove pure, dunque, abita YHWH (p. 128). Poi che ne sarà?
Il poi chiama in causa la letteratura profetica con la relativa questione dell’influenza rispetto al profetismo del VOA. Accostando direttamente Geremia e puntualizzata l’articolata periodizzazione ed esposta con indagini filologico-ermeneutiche la sua predicazione, lo studioso conclude che non è il “luogo” garanzia del Dio presente; è invece il rendere presente Dio, con la fedeltà all’Alleanza, a consentire la presenza di Dio nel “luogo”. Il che non toglie la necessità della “restaurazione” del Tempio, perché “senza Tempio non vi può essere né nuova alleanza, né […] popolo d’Israele” (p. 143). Con altrettanta compiutezza nell’indagine a proposito di Ezechiele, la visione avuta da costui circa il Tempio futuro conduce ad un esito fortemente ideologico: il Tempio che contiene la Legge è governato dalla classe sacerdotale, “come dire: una teo-crazia piegata in funzione della iero-crazia”. Da leggersi con pieno diletto, anche da parte dei più frettolosi, le pagine su “Auspicio o propaganda anti-Tempio?” con la connessa Conclusione a ispirazione storico-filosofico-religiosa (pp. 157-161).
La ricostruzione del Tempio nel post-esilio babilonese grazie all’editto di Ciro (538 a.C.) negli interventi di Esdra-Neemia e degli autori di Cronache coinvolge dinamiche storiche, sia extra-ebraiche, sia ebraiche e i loro rapporti che l’Autore sviluppa in una stupenda disamina di grande godibilità letteraria e storica (pp. 164-203) la quale rimanda all’intramontabile problema delle relazioni tra i residenti, detentori della pura identità, e i rimpatriati, ibridati per i matrimoni misti e per l’assorbimento di una cultura straniera. Nella conflittualità derivante dalle contrapposizioni economiche, sociali e culturali la convergenza risulta nella ricostruzione del Tempio, cardine, con la Tôrāh, dell’identità nazionale, stante la radicata convinzione che non sussiste Tôrāh senza Tempio. A caldeggiarne la ricostruzione del Tempio primeggiano le classi colte ed egemoni – le prime ad essere state deportate in Babilonia –, il che conduce ad una tale “efferata” (p. 209) concezione esclusivistico-nazionalistica del Tempio gerosolimitano sul “Monte Sion”, da concentrarsi nel principio irriducibile: extra Jerúsalem nulla salus. Il conflitto ideologico con la Samaria è conseguenza inesorabile. [Francesco Di Ciaccia]