Colombo, Umberto, 1985
Umberto Colombo, Alessandro Manzoni, Roma, Edizioni Paoline, 1985, pagine 322, in «L’Italia francescana», 5 (1985) pagine 587-588.
Testo della recensione
Recensire una biografia manzoniana preparata da un teologo, quale il manzonista Umberto Colombo, significa accostare problemi dottrinali, oltre che seguire i passi mortali di un uomo variamente interpretato. Alla fine dell’opera, l’autore, grazie anche a testi manzoniani riportati con dovizia e senza tagli «ideologici», crede («così crediamo») di essere riuscito a «scrivere cose vere». Lo pensiamo anche noi: aggiungendo che una sintonia, intellettuale ed affettiva insieme, intima e severamente scevra di sentimentalismi, pervade tutto il libro. Il Manzoni si rivive dalla zona più profonda di sé: che è sana. Lo ripetiamo: che è sana; anche se l’osservazione può destar meraviglia in molti, ad altri può giovare il dubbio sulle loro posizioni tendenziose e settoriali.
Non possiamo ripercorrere tutte le sfaccettature della «vita manzoniana» del Colombo: sfaccettature lineari, pur nell’instancabile, e insondabile oltre un termine, ricerca della verità, che fa del Lombardo uno spirito «pascalianamente inquieto». Ci soffermiamo solo su qualche punto, su cui ci preme dire una parola.
Manzoni giansenista, più o meno? Certo. Il Colombo lo nega. A parte alcune conoscenze di giansenisti da parte del Manzoni – dalle quali non si può derivare comunque una sequela dottrinale — e a parte le contrarie prove del critico sul presunto giansenismo manzoniano, il Manzoni è giansenista se il « masso » – per ricordare un passo sfruttato -, incapace di risalire l’«erta montana», si inscrive meglio nella concezione quesneliana che non in quella romana. Ma basta prendere in mano i documenti ecclesiastici per notare che, proprio sugli errori del Sinodo di Pistola, la Costituzione di Pio VI, Auctorem fidei («De condicione hominis in statu naturae»), del 28 agosto 1794, condanna la posizione esattamente contraria a quella asserita dal Manzoni nel Natale: il quale, dunque, va letto sulla linea non già di Quesnel, nelle proposizioni di cui nell’Unigenitus Dei Filius, 2, 39, e passim di Clemente XI (8 settembre 1713), ma dell’epistola di Paolo ai Romani, autorevolmente interpretata dalla Chiesa, cui il Manzoni dichiarò ripetutamente di aderire.
Sempre per restare agli Inni, essi esprimono adorazione all’«umanità» di Cristo, a differenza del Concilio di Pistoia in quella proposizione condannata da Pio VI («De adoranda humanitate Christi»). Se il Manzoni non ha componimenti specifici sui Santi, è questione di ispirazione poetica, e non è necessario che noi, qui, spieghiamo la ragione di tale assenza. Per quanto concerne la convinzione di fede, il Manzoni dà la propria attestazione, compiuta, nella lettera al Cesari, riportata per esteso dal Colombo – ed è, questo, uno dei tantissimi pregi, di correttezza e di intelligenza, del biografo. Sul «presepe», ancora, potremmo aggiungere che la rivisitazione poetica poggia su un sentimento non solo adorante, ma anche commosso. Concreto, sensoriale, quel «vagire» del Re è quasi riproduzione di un «presepio vivente» alla Francesco d’Assisi. È stato grande, fra critici, lo stupore, quasi lo scandalo, dinanzi ad un inno di redenzione, La Passione, che esordisce con il timore dell’«ira futura». Ma ragioniamo. Chi si spaventava – altro che temere! – per l’uomo, se il Figlio fu «percosso dal cielo» (espressione manzoniana), era ben il Paolo dell’epistola ai Romani, che applicava il principio ad «naturalibus carnis» e ai gentili. Vero è ben che l’inesorabilità di Dio verso il Figlio è ritenuta garanzia della generosità verso gli uomini (Rom 8, 32-35); ma, forse, Alessandro non si allinea proprio su questa logica – come fa risaltare il Colombo -, per cui, cioè, tutti trovano salvezza nella «Passione»? Inoltre: il Manzoni rende efficacemente la divergenza tra chi vuol seguire il Verbo, e chi non vuole, chi lo vuole qualche volta, chi qualche volta di più, chi qualche volta di meno. Ciò è troppo evidente ne I Promessi Sposi, per poterlo dimostrare. Ma, anche nelle Tragedie, protagonista non è la grazia «invincibilis»: protagonista è il principio che la sventura umana può ben essere occasione di rinnovamento. «Deus quem amat corripit»; con volontà antecedente, ama tutti: ma bisogna che sia ciascuno a capirlo, e ad accettare la «correzione».
Ancora un altro punto fondamentale della biografia del Colombo: il nucleo protagonistico de I Promessi Sposi non è intorno agli umili intesi come «eroi» alla Tommaseo, né come «animali» alla Gramsci, ma come «umanità», la cui «storia» è «calcolata» su presupposti teologici.
In definitiva, consideriamo l’opera di Umberto Colombo, agile e godibile nello stile, dal taglio teologico-religioso, tra le più proficue per farsi istruire ed educare dal Manzoni. [Francesco di Ciaccia]
Umberto Colombo, Alessandro Manzoni, Roma, Edizioni Paoline, 1985, pagine 322, in «Idea », 10 (1985) pagina 53.
Testo della recensione
Per scrivere del Manzoni, occorre farsi suo «amico». Umberto Colombo v’è riuscito, anche per la sua preparazione teologica. La cura della presente biografia è quella di svelare il Manzoni partendo da lui, «incontrandolo» nei suoi scritti, anche privati. Ne risulta una «vita» scandagliata nei più intimi segreti dell’anima, accostata anche nei suoi risvolti dottrinali – in cui il Colombo è maestro -, nei problemi «politici» e nelle vicende familiari – a scorno delle «sdottorate fanfaluche» di penne remunerate in proporzione dell’incompetenza. Il costante ausilio, prezioso ed ineliminabile, di brani manzoniani, che fungono da documentazione, e lo stile gradevole aggiungono all’utilità del libro il merito di una lettura avvincente. [Francesco di Ciaccia]
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