Addio monti di gioia
Addio monti di gioia, Ceccardiana, 1987, p. 28 [con modifica successiva]
Addio, monti di gioia
La terra è quasi una tomba,
la morte sarebbe un regalo. Tra i morti
chi vive è cadavere
che sfugge al domani. La vita
non ha risparmiato
il sogno nato nell’alba
pulita,
tra i monti d’un paese ignorato. Ma le nostre impotenze
accompagnano i nostri
rimorsi: un matrimonio fallito
non vale una vita
e laggiù sciupai l’innocenza. Ho consumato l’amore
nel voto che ha chiuso l’amore. Non prenderti,
no, non riprenderti il dono: il vento riporta un sorriso,
né occorre che sia come penso. Non guardo,
non mi metto a guardare la vita:
chi ci ha fatto arrivare fin qui
non lasciava mai tregua ai nostri pensieri,
ai nostri sentieri
lacerati
alla notte
che assaliva in agguato,
ad un luogo straniero, quando per strade
infossate
corremmo, quando dicemmo
sul lago che non sembrava avere confini:
Addio monti di gioia,
dove serbammo un amore incrollabile
cresciuto nel riserbo dell’animo; addio
chiesa tra i campi e le case sparse d’intorno, dove tu
mi dicesti
sperando: la tua volontà faccio mia
come la tua è per me… Addio
casa abbattuta con mani
tagliate:
il tempo ha spezzato anche i fili
che la vita
non rompe mai totalmente.
Chi allora ci dava speranza
è per tutto: nel gelo
che screpola le mani sfinite.
E le fa sanguinare. Ma chi ci ridà la speranza
in questa speranza fallita?
Chi ci ha custodite finora
ci custodirà ancora per sempre.