Testoni, Ildo, Le veglie di un agricoltore
Tra memoria e storia, Introduzione a Ildo Testoni, Le veglie di un agricoltore, Milano, Prometheus (Le rune 3), 1992.
Testo della Introduzione
La storiografia recente si è orientata, anche a livello accademico, verso il recupero delle tradizioni popolari. Possiamo ritenere che si tratti di un “segno dei tempi”, dopo le ideologie che hanno portato alla ribalta l’importanza della cosiddetta “gente comune”: quella che Alessandro Manzoni chiamava, nell’Introduzione al romanzo, “gente meccaniche, e di piccol affare”. E proprio al Manzoni è il caso di risalire, perché egli è stato il primo che con consapevolezza critica ha impostato i termini del “romanzo storico” sul criterio non già della sola rilevanza politica dei personaggi, ma anche dell’importanza “umana” della gente. Nella stessa Introduzione al romanzo egli contrapponeva, col suo stile d’imitazione secentesca, le “Attioni gloriose” e le “Imprese de Prencipi e Potentati, e qualificati Personaggi” ai semplici fatti capitati a due paesani: con chiara preferenza per questi ultimi. Da una parte, l’incidenza dei “grandi uomini” della storia non è affatto disconosciuta, dal Manzoni: anzi, egli è ben consapevole che a determinare i solchi profondi, entro cui scorrono gli eventi della gente comune, sono proprio gli uomini “politici”, quelli di cui la Storia parla e sui quali la Storia si scrive; e non è un caso il fatto che la vicenda dei “promessi sposi” si dispieghi, con intrecci sciagurati o a volte benefici, tra le “gesta” dei grandi nomi – Gonzalo de Cordoba, Ferrer, Borromeo, l’“innominato” Visconti, ecc. – e gli avvenimenti epocali – la guerra, la carestia, la peste, ecc. D’altra parte, tuttavia, e fin dalle Tragedie, il Manzoni ha indicato come oggetto dell’opera d’arte la vita di chi non ha nome nella “Storia”: perché è quella vita che compone le pagine della storia “reale” che non solo concerne la maggior parte degli esseri umani intrecciandosi con i giorni della quotidianità, ma anche, pur sommersa e obliata, rivela le vere conseguenze delle scelte politiche e manifesta nel concreto i fenomeni storici epocali.
Da questo atteggiamento mentale deriva una particolare attenzione del romanziere alla storia collettiva e individuale della gente comune. Egli non solo ne narra le vicende, ma ne scruta anche le sofferenze a cui la “grande Storia” sottopone la povera gente, che il Manzoni considera spesso vittime delle “grandi Attioni”. Per tal motivo egli, con sensibilità tipicamente romantica, interviene spesso a commentare gli avvenimenti occorsi ai suoi umili personaggi e a volte ad offrire insegnamenti morali. Ed è soprattutto da questi suoi interventi che emerge il suo punto di vista circa la moralità della vita secondo la sua concezione, che è al contempo religiosa e laica.
Ma occorre ancora riflettere sulla evoluzione della narrativa in direzione delle tradizioni popolari. La letteratura positivista, che in Italia fiorì sotto il nome di verismo, diede voce autonoma alla gente comune, portandola alla ribalta nell’opera d’arte. Il suo distacco, benché solo apparente, dall’oggetto narrato non deve trarre in inganno: lo scrittore intendeva mettere in rilievo le situazioni penose ed il mondo interiore della gente proprio mediante una descrizione “fotografica”, scarna e oggettiva. È da tale obiettivazione dei sentimenti che nasce, in effetti, la comprensione per i protagonisti del romanzo ed attiva nel lettore sentimenti di simpatia verso quelli che – appunto il Verga – definì i “vinti”. Non si può non rilevare tuttavia forse un limite del verismo italiano: quello di preoccuparsi più di illustrare un quadro preciso della vita quotidiana, che di offrire indicazioni evolutive circa la vita sociale e morale del popolo. E questo rilievo è bene farlo subito, in quanto il lettore di Testoni si accorgerà immediatamente, fin dalle prime pagine, l’intento opposto dell’autore: quello di essere anche una guida alle “giovani generazioni”.
E in effetti il neorealismo novecentesco ha recuperato proprio il senso della letteratura come opera “morale” – o “politica” –, impegnandosi, sia pure sostanzialmente attraverso il narrato, ad un’opera educatrice: il romanzo come “indicazione di vita”, come proposta etica e sociale. Ma un’impostazione del romanzo neorealista resta quella di velare, sotto personaggi apparentemente inventati, l’esperienza personale dello scrittore: impostazione che si allinea al romanzo classico e ottocentesco. E quando il romanziere narra in prima persona – si pensi a Primo Levi –, lo fa tuttavia con distacco da puro narratore: e con ciò ripropone l’impianto classico e verista, lasciando al lettore l’autonomia delle sensazioni nei confronti dei fatti narrati.
Queste veloci osservazioni valgano a far comprendere come il lavoro di Testoni si inserisca a maggior titolo in quella letteratura “popolare” cui accennavo all’inizio. Infatti, se la storiografia attuale ha scoperto il valore delle tradizioni popolari, ha bisogno più di documenti che di fantasie, a meno che le fantasie non documentino esse stesse un modo reale di atteggiarsi, un immaginario collettivo realmente esistente. Secondo la storiografia, infatti, le tradizioni popolari non costituiscono una “storia minore”: esse rappresentano uno spaccato “locale” della storia in quanto tale, e della “grande storia” sono al contempo segno e rivelazione, effetto e “prototipo”.
Il lavoro di Testoni ha la caratteristica di essere documento e romanzo. In qualche modo esso è descrizione “locale” e interpretazione “globale” della storia: in cui il termine “locale”, secondo la storiografia, intenziona non solo la delimitazione geografica, ma anche l’ambiente umano e la categoria sociale. Ma vediamo in concreto alcune sue qualità.
Documento di vita vissuta: questa è la principale qualifica che mi sento di attribuire all’opera di Testoni. E, innanzitutto, “documento”. Perché? Il suo libro è un vero e proprio spaccato di un paese del Polesine: vi si trovano problemi occupazionali, pratiche religiose, contrasti politici, tendenze di aggregazione ed inoltre amicizie, inimicizie, prassi morale, pettegolezzi, avventure e delusioni… Una “documentazione”, dunque, di cui sarebbero golosi gli storiografi di storia locale, anche perché – e questa è una caratteristica saliente del Testoni – i tratti di questo mondo paesano e rurale son delineati spesso nei particolari con una tendenza a volte al cronachismo. Non bisogna tuttavia tacere che, oltre alle descrizioni strettamente di interesse locale, l’autore, collegando le vicende reali con la più ampia situazione regionale e nazionale, offre conoscenze che si connettono ai grandi momenti storici del nostro Paese, sia nell’ambito politico e sociale che in quello delle evoluzioni del sentimento religioso e dei costumi di vita.
Vita vissuta: è indubbio l’impianto autobiografico, del resto dichiarato. Ma l’autobiografismo del Testoni non ha nulla di narcisistico: al contrario, esso è soltanto un mezzo di illustrazione del mondo oggettivo e diventa “cifra” di interpretazione morale e politica di tutto l’arco storico narrato. E qui va immediatamente segnalata l’intenzione ispirativa dell’opera: essere un “esempio”, per i “giovani”, di come affrontare la vita e di come atteggiarsi con gli altri, in un percorso umano, e in specie sociale, che spesso non è per nulla facile! E mi piace sintetizzare in questi termini la “morale” sostanziale dell’autore: la vita è un “impegno” che, se affrontato con determinazione e con coraggio, è sempre pagante, sia per sé, sia per il bene comune, poiché la vita di ognuno è solidale con la vita della comunità. Molto egli insiste sull’“etica della solidarietà” sul piano personale dell’amicizia e su quello sociale del progresso collettivo; e altrettanto egli sottolinea il principio che “ad agir secondo coscienza c’è sempre da guadagnare e da essere contenti”. E se alcune osservazioni rivelano un attaccamento ad una cultura contadina del passato, altre dimostrano l’apertura mentale verso ogni forma di progresso, che comunque resti radicato ai cardini essenziali di una morale fondata sulla sincerità, sull’onestà, sul lavoro, sul rispetto degli altri. E con queste due direzione prospettiche, l’una rivolta ad un vissuto di ciò che è passato, l’altra ad una comprensione delle innovazioni a venire – molto interessanti, ad esempio, le riflessioni sul progresso scientifico e tecnologico, sul cooperazionismo sociale e sull’emancipazione femminile –, il Testoni si colloca sia tra gli osservatori che proclamano la necessità antropologica e morale di un recupero delle tradizioni popolari soffocate dalla società tecnocratica e consumistica – tra i quali mi piace ricordare Vittorio Dini dell’Università di Siena –, sia tra i promotori di una mediazione tra la cultura rurale e quella urbana e borghese.
Infine, non si può non rilevare la dimensione narrativa del libro: tale per cui esso può dirsi a pieno titolo un romanzo. Ed infatti, se il libro presenta un taglio essenzialmente memorialistico e se il suo fine appare principalmente anagogico e morale, tuttavia la dimensione autobiografica e il discorso propositivo si avvalgono rigorosamente di un impianto “romanzesco”. Si tratta di un romanzo, come accennavo, in cui il protagonista non si nasconde dietro un “terzo”, un narrante diverso. Il Testoni racconta avvenimenti rigidamente storici, episodi dichiaratamente accaduti, parla di manovre, di intrighi, di affetti reali, ma li inscrive in un “flusso di coscienza” materiato in un avvicendarsi “di fatti e di cose”. Per tal motivo la “storia” del Testoni, benché storia del mondo, si presenta come una “figura” di ogni possibile storia legata al suo ambiente. E il lettore, per quanto possa essere estraneo a quel mondo narrato, riconosce la propria umanità in qualcuno degli episodi. E ciò dà la misura di quanto il contenuto del libro travalichi le ragioni soggettive e personali, e si proietti su una dimensione, al di là del documentaristico, universale. Che è la funzione dell’arte (pagine 5-9). [Francesco di Ciaccia]
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