Alfano, Francesca, Lo specchio e l’anima
L’immagine e lo specchio, Introduzione a Francesca Alfano, Lo specchio e l’anima, Milano, Prometheus (Polimnia 16), 1997.
Progetto grafico di Edelgard Wortmann
Testo della Introduzione
La vita non è sogno.
Ma il sogno è la culla della vita.
Qualcuno ha scritto – io, tempo fa – che i sogni a occhi aperti ci dicono ciò che non siamo: inganni intessuti dai nostri bisogni, ingigantiti a volte e distorti dal contrasto tra il cuore e il reale, dalla frustrazione generata dal “vero”. I sogni a occhi chiusi, quelli onirici, dicono ciò che noi siamo: nella profondità della psiche che la coscienza ha cercato di nascondere a sé e che premono tuttavia nel magma oggettivo dell’anima sommersa. Per questo riusciamo a riconoscerci a stento, dopo che abbiamo sognato di noi: da svegli, diventiamo un’altra “persona”, diventiamo ciò che “vogliamo”. Non più quello che, nel profondo, noi siamo.
E a stento riusciamo a mettere i piedi per terra (Sogni).
Ormai la luce ha spezzato il sogno. Il desiderio soppianta la pulsione incosciente.
Tuttavia c’è sempre qualcosa, nel mondo, che ci rimanda alle nostre profondità più sincere e veraci: può essere la “furia del vento”, come nell’esperienza di Alfano. E non a caso.
Il vento sferzante è simbolo della forza del proprio profondo: lo sguardo si appunta, attonito, nel nero del cielo – e dell’animo – che il vento accumula minaccioso ed urlante.
Non bisogna aver paura del “nero”: bisogna “guardarlo”.
E fare i conti con lui.
Il nero non è il male: è la parte di noi che vogliamo celare senza potercelo dire, ma è proprio quella parte di noi che può darci la spinta per ogni nostra resurrezione.
Si risorge soltanto dalla tomba.
Come Cristo è risorto dal buio.
Francesca Alfano ne sembra consapevole. Ella vorrebbe “fuggire dalle insidie del mondo”, per “ritrovare nuovi destini”. La vita è in continua ascensione, in perenne scoperta del mondo di sé.
Oppure non è vita.
Ma apparenza. Finzione. Un ballo in maschera.
“Sconfinare all’infinito” (Attimi fuggenti) non esprime, perciò, soltanto una fuga dalla realtà conflittuale, dalla coscienza turbata; esprime anche quel “viaggio” nell’infinito che è in noi e che ci mette a contatto con il “luminare” che è lo stesso io profondo.
Non è un viaggio facile, s’intende: occorre rifare a ritroso tutto il percorso della nostra esistenza. La gioventù!
Ripartire da lì: dalla “grande chimera” (Gioventù). Il tempo, certo, ce l’ha rapita; ma il sogno ce la ridona, trasfigurandola in un momento prezioso del presente.
Aurora del nostro futuro.
Il poeta in effetti ha questo privilegio – che è anche condanna –: sentirsi sempre “incompiuto”. E tendere alla completezza che la vita difficilmente può dare (Sorte).
La poesia – l’arte in genere – è la forma consapevole, e in parte inconscia, del sognare. Essa non viene dalla mente: viene dalle profondità del proprio mondo interiore. Ciò che il poeta immagina d’intuito, e d’improvviso, è una porzione delle sue immensità. Che consuonano con quelle di ogni essere. E qui Francesca Alfano rivela la sua anima: irradiare la propria vitalità nel mondo, e restare immortale (Quello che vorrei).
Aspirazione di ogni essere mortale: che sa di dover morire, e sa di voler “esistere ancora” (Poeta). Oggi. Ieri. Domani.
La poesia di Alfano si snoda in un incalzare di attimi fuggenti nell’esperienza quotidiana. Sono momenti che tutti noi viviamo, gesti che tutti facciamo; ma coglierli sotto il profilo della loro suggestione li rende più veri. Li rende più umani. Il punto di vista di Alfano oltrepassa perciò il puro dato: le cose che la circondano rimandano ad una sensazione che coglie i rapporti tra le cose e la persona che le esperisce. Il vento sembra il pianto di un bambino (Il vento); la notte fa scoprire la “triste sconfitta della vita” (Notte insonne).
Ma soprattutto è vivo nella poesia di Alfano il sentimento della fugacità del tempo. Giustiziere – sembra – della vita che ci fu data come una rapina (Passa il tempo). Un segno del tempo, un segno inconfutabile – che è la misura soggettiva più ancora di quanto lo sia sul piano oggettivo –, sono le rughe dell’età che avanza. Che cosa passa nell’animo di un uomo, di una donna, quando si incomincia a scorgere il documento fisico del proprio cammino percorso?
Gli anni anagrafici sono un “numero”; le rughe sono un macigno che toccano la pelle.
Le rughe sono la nostra carne: e pesano sull’animo!
Francesca Alfano ha sentito il macigno. Ma lo esprime con leggerezza, riflessa nella scrittura melodica, quasi da filastrocca (Lo specchio e l’anima). Il verso è volutamente elementare, per significare che, sì, è vero: i capelli imbiancano; ma non bisogna esagerare nel dramma. In fondo, siamo sempre quelli di ieri!
Ma soprattutto noi siamo ciò che saremo domani: dopo la vita “quaggiù”. La vita terrena è “condizionata”, è incatenata. Si può sentirsi affezionati alle catene? Anche un’altra vita, dopo quella attuale, se continuasse ad essere vita sulla terra, sarebbe di nuovo un’esistenza incarcerata (Luna astrale). È meglio pensare che il “dopo” sarà come la luce: eterna, impalpabile, estranea alle leggi del condizionamento; una luce al contempo vagabonda e tranquilla, incorporea e sicura, soffusa ed eterna.
Questa visione luminosa tuttavia non sembra continuativa: a volte l’anima aspira a diventare “un essere puro / nella Luce dell’immortalità” (Luna astrale, Puro spirito); a volte la morte rappresenta la “nullità assoluta / dell’essere stato” (Nascita e morte). Ma c’è davvero contraddizione? Non penso. La nullità assoluta riguarda appunto 1’“essere stato”, riguarda il passato transitorio nel mondo (una “passeggiata”, Vagabonda); l’immortalità astrale è invece una nuova dimensione dell’esistenza futura (Puro spirito). È come il frutto che, scomparso e annientato, genera un’altra realtà. Altra vita (pagine 7-11). [Francesco di Ciaccia]
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