1982, CRend, “Con coloriti fiori ed erba”
«Con coloriti fiori ed erba»: il piacere del bello in San Francesco, «Campane di Rendena», 71 (1982), pp. 62-65.
Testo dell’Articolo
Laudato sia con la mia madre terra.
Assai tesori ella nel grembo serra,
E porta i frutti a la foresta acerba,
I fior, gli uccelli coloriti e l’erba. /…/
Così cantava; e su gli alzati steli
Rideano i fiori […] 1.
Sul tema dell’amore reciproco di san Francesco e il creato 2 l’agiografia letteraria, incoraggiata anche dallo scenario umbro «onusto di messi, di fior costellato» 3 e dal «mite solitario alto splendore» di Assisi 4, è munifica nell’esaltare la fascinosa bellezza delle più delicate creature: dagli «ulivi» fragranti sui «verdi clivi» tra i «sentieruoli rifioriti» 5 al «frate usignolo» 6, ai «rondinini» o alla «sorella pecorella» ricordati da Corrado Govoni 7 e da Marino Moretti 8. Ma se un’Assisi o una Montefalco presentano una dolcezza particolare per il «sorriso di Francesco» che le rese, a detta di Gabriele D’Annunzio, «beate» 9, la «madre terra» è, per esprimerci con il Cantico delle creature, prodiga di «diversi fructi con coloriti fiori ed erba» anche in questa valle rendenese, anche se diversamente per costituzione geologica e posizione geografica, non meno che in quelle umbre e toscane.
In questo corale VIII centenario della nascita di san Francesco, ricordiamo qui l’insegnamento di colui il quale «ordina che l’ortolano lasci incolti i confini attorno all’orto, affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendore dei fiori cantino quanto è bello il Padre di tutto il creato» 10.
Il contraddittorio, immaginato da Vittoria Aganoor – Pompilj 11, fra un ipotetico uomo comune e san Francesco suggerisce la dinamica della prospettiva dell’amore francescano per le creature. All’uno sembra di udire un «frusciar di serpi», e Francesco obietta: «Io non odo che il placido stormire della pineta, e l’inno degli uccelli»; l’uno sente «un alito che pute», e l’altro, invece, solo un «odor di timi e di ginestre», per cui – egli assicura – «io bevo aria di gioia e di salute».
Nella fantasiosità poetica è espressa l’idea che per l’uomo il vero non è ciò che c’è, ma ciò che egli fa perché qualcosa sia. Questo «vero», però, non dipende da un arbitrio del cuore e da un offuscamento della mente, ma dall’accoglimento di ciò che Dio vuole, e dunque non è soggettivismo né oscurantismo, ma è l’oggettività più garantita, «nella rivelazione» che il cuore e la mente apprendono da Dio attraverso le sue creature, e che essi realizzano con impegno. San Francesco conobbe questa «rivelazione» in una forma tra le più elevate. Qualcuno crea il male, che vuole, Dio dà solo beni: fra questi, le tenere creature, le fioriture meravigliose. Il falco alto levato 12 è stupendo: quello stesso, ad esempio, che, legato a Francesco «con grande patto di amicizia» 10, destava dal sonno «con la campana della sua voce (dal) tocco leggero», la notte, per i «divini uffici», ma che, «quando il Santo più del solito era disturbato da qualche malessere, si tratteneva» dal suo grido 13.
Il falco, per sua natura, fugge l’uomo, come pure – solo per ricordare qualche episodio –, l’uccellino, che, invece, «si accovaccia» nelle mani di Francesco e non se ne parte se non da lui benedetto; o la cicala, che obbedisce all’invito del Santo: «Sorella mia cicala, vieni a me», e: «Canta, sorella mia cicala, e loda con gioia il Signore tuo creatore» 14: indizi, come dice il titolo del cap. CXXV della Vita seconda celaniana, del contraccambio di amore delle creature verso Francesco, e la cui verità essenziale è che Francesco, davvero, è fratello delle creature. Egli le ama e perciò le fa vivere per quello che sono, e come tali le accetta. Se non vogliamo approfondire, qui, il magistero francescano comunicato attraverso il fenomeno della infestazione dei «topi», che del resto i biografi individuano come «tentazione» sofferta dall’Assistente morente, possiamo raccogliere le sue indicazioni più piacevoli, e non meno sapienti.
La Leggenda e lo Specchio di perfezione 15, ricordando il comando di san Francesco che non si coltivassero «in tutto il terreno» le erbe, aggiungono l’esplicita e significativa qualifica: «commestibili». Sembra strano che il rigido assertore della povertà, per il quale i frati dovevano provvedere, innanzitutto da se stessi, al proprio sostentamento 16, voleva riservata una parte dell’orto per le «erbe verdeggianti», per i «fratelli fiori», i «bei fiori». Ma non è fantasia agiografica: «Noi che siamo vissuti con lui, lo abbiamo visto sempre dilettarsi intimamente ed esteriormente di quasi ogni creatura: le toccava con gioia […]» 17. Francesco ama le cose per il loro riferimento a Dio, «poiché ogni creatura sussurra e dice: “Dio mi ha fatta per te, o uomo”»; ma questo riferimento non resta solo in una dimensione «interiore»: esso coinvolge anche una fruizione concreta («esteriormente»). Infatti, lo stesso «diletto» preso dalle creature, lo stesso profumo dei fiori, che ricorda, come spiega il Celano, la «soavità eterna», è un lodare il loro Creatore.
Tale sensibilità francescana è l’opposto del godimento delle belle cose orientato al proprio piacere escludente il contesto a cui le cose stesse si riferiscono. L’Assisiate si accosta alle creature, superando il misticismo tradizionale soprattutto di orientamento cataro, anche per il loro valore intrinseco; sa gustarne la bellezza con animo poetico, contemplarne la delicatezza e respirarne l’effluvio naturale come un bambino, affascinato dalla varietà e attirato verso di esse con la curiosità dell’uomo semplice. Ma il suo «vezzeggiamento» e la sua soddisfazione sono autenticamente religiosi ed umani, perché egli guarda alla loro vita, prima che alla propria. Distruggere i semi dei frutti, stroncare il futuro delle piante e degli animali, agire contro le creature, come abbattere fiere e rapaci senza riguardo alle condizioni generali della fauna o raccogliere funghi, indiscriminatamente ed estirpandoli, non può convivere con l’amore per le creature, ma solo con un vuoto, o ipocrita, sentimentalismo. Le distruzioni operate, nel migliore dei casi e senza nominare neppure lo stupido vandalismo ecologico, a vantaggio dell’uomo non rappresentano un godimento delle creature finalizzate all’uomo, ma un godimento di sé escludente le creature: e, in fin dei conti, a danno di sé. «Quando i frati tagliano legna, ricorda il Celano nel testo citato, (Francesco) proibisce loro di recidere tutto l’albero, perché possa gettare nuovi germogli». Tale premura non è, innanzitutto, ispirata a ragioni economiche; ma l’attenzione creaturale è, nei lunghi tempi secondo cui intuisce la genialità francescana, utile anche per la economia, mentre le ragioni del tornaconto sono turbate da passioni e caratterizzate dalla sconsideratezza, che ad esempio porta a sterminare, come inutili, i funghi velenosi, che invece giovano anch’essi al bosco.
«Raccoglie perfino dalla strada i piccoli vermi, perché non siano calpestati» 18. La finezza dell’atteggiamento «fraterno» sa riconoscere una funzione e una bellezza oltre il gusto immediato, il quale invece costituisce, per l’uomo dell’offesa, criterio inappellabile per stabilire ciò che è bello e/o utile e ciò che non lo è. Ma nessuno può imporre alle creature, che vivono, il proprio criterio. Una poesia di Edvige Pesce Gorini, interessante al riguardo, mostra un «Santo Francesco», nel suo benedire «il mondo intero dal Signor creato», che, superando i metodi utilitaristici, riporta pace fra gli uomini e caccia «da ogni cuore / l’invidia e il furore»: la benedizione francescana è rivolta a «tutte» le creature. L’affetto e l’ammirazione delle creature o è totale, ed implica il loro rispetto, o è solo sfruttamento:
nella campagna benedisse i campi,
insetti ed animali, pioggia e lampi.
Gli furono cari il bruco
siccome la farfalla,
l’aquila nera col suo forte volo,
il nibbio e l’usignolo.
…
disse «fratello» al lupo,
e parlò al sole e al buio della notte.
Chiamò l’acqua sorella
come la povertà, come la morte 19.
Fuori dalle immagini poetiche, questo discorso vuol dire che l’autentico e profondo amore per le creature si fonda e matura sull’amore universale – che in Francesco d’Assisi è genuinamente evangelico –, il quale è superamento delle tensioni distruttrici e che, a sua volta, si educa, ingentilendosi, mediante l’affettuosa conversazione con le belle realtà della natura.
La generosità, e concretezza, dell’amore francescano per le creature è dimostrato da tanti episodi (dell’agnello, del lupo, ecc); ricordiamo qui solo il seguente: «[…] alle api egli vuole che si somministri del miele e ottimo vino, affinché non muoiano di inedia nel rigore dell’inverno» 20. L’asceta che digiuna, più volte l’anno, quaranta giorni e quaranta notti – senza facili propagandismi –; l’«archimandrita», per usare un termine dantesco, che crea una famiglia di poveri e di difensori dei poveri – senza strategie politicamente coercitive –; il mistico che sta per ricevere «da Cristo l’ultimo sigillo» (Paradiso, XI, 107), pensa premurosamente alle api: non per sé, ma per esse stesse, come un fratello. Gioire delle creature comporta, intrinsecamente, salvarle per il loro stesso valore, averne amorevolmente cura. Non solo: ma «quando (egli) si lavava le mani, sceglieva un posto dove l’acqua non venisse calpestata con i piedi» 21. Impressionante raffinatezza: l’acqua, inanimata, ha anch’essa diritto alla sua purezza! Essa è «casta», come dice simbolicamente, ma prima di tutto realisticamente, il Cantico delle creature: l’uomo non ha bisogno, se non nell’estrema necessità, di violarla. Spessissimo, per non far la fatica (!) di deporre i rifiuti nei contenitori, l’uomo arriva a «cambiare i connotati» di quei meravigliosi e bellissimi volti paesaggistici, di cui con perfidia pretende il dolce godimento.
Quello di Francesco è l’insegnamento del «rispetto per la vita, che Albert Schweitzer porrà come condizione primaria dell’etica sociale in un’epoca come la nostra, sconvolta dall’egoistica volontà di vivere […]. Francesco purificava quella atmosfera […] (storica e culturale) con atti di vita, che erano la verifica della bellezza e dell’innocenza di tutte le cose» 22.
Ci è parso doveroso ripensare al dolce affetto di Francesco per le creature, anche se in brevissime parole, stando in questa valle ravvivata dalla presenza francescana, che si concreta nell’attività pastorale del padre Ermete, dal 1946, nella chiesa, attualmente parrocchiale, di Mavignola, e che ha sempre incoraggiato quel senso, squisitamente religioso e al contempo civile, che il rapporto di san Francesco ed i «fiori» suggerisce e significa 23. È, questa, una pedagogia spirituale ed umana radicata nella tradizione francescana, come dimostra san Bernardino da Siena, uno dei santi che sembra particolarmente concentrare il culto dei «fratelli minori» in questa zona, e più generalmente nel Trentino. Egli, invitando a «guardare il cielo», cioè a Dio che è «savio, potente, misericordioso», al contempo «vede e gusta tutto quanto gli è stato donato da Dio a gioia e conforto e impegno» 24, e «descrive da artista, e da santo, innamorato di quanto esiste, astri, fiori, frutti, stagioni, minerali e piante, luoghi di serena solitudine» così come, conformemente alla sua vocazione di predicatore civile e «di città», l’«animazione delle piazze». «Ancora una volta, dopo il Cantico di frate Sole, la spiritualità francescana ci dà il fiore dell’arte, a lode di Dio e della vita»: del resto, nessuno potrebbe essere francescano, «se non avesse il culto della natura “figlia di Dio”», teorizzata da san Bonaventura (cfr. Itinerarium mentis in Deum) come «segno» di Dio, sulla scia del magistero esistenziale del Fondatore che chiamava le creature «fratello» e «sorella» 25.
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1 Angiolo Silvio Novaro, S. Francesco e le creature, in Tommaso Nediani, La Fiorita Francescana, Bergamo, s.d.; in realtà 1926, pp. 111-112.
2 Qui non trattiamo questo rapporto, da noi studiato nell’articolo «Dalla parte delle creature, cun grande umilitate», rilasciato in esclusiva a «Frate Francesco» dei Frati Minori e programmato per il numero di ottobre 1982. Qui riflettiamo semplicemente sul «rispetto» affettuoso dell’Assisiate per le creature «belle», con le sue implicazioni educative genuinamente umane, oltre che soprannaturali.
3 Luigi Zambarelli, Vallate umbre, v.l. in T. Nediani, op. cit., p. 227.
4 Giosuè Carducci, Santa Maria degli Angeli, v. 10. Su questo soggetto, cfr. il nostro commento «Umiltà e morte nel Frate Francesco carducciano», rilasciato in esclusiva all’«Italia Francescana» di Roma e programmato per il numero di ottobre 1982.
5 Clemente Barbieri, Francescana, rispettivamente vv. 11, 16 e 14, in T. Nediani, op. cit., p. 116.
6 Ettore Ricci, L’usignolo e il Cantico di Frate Sole, in T. Nediani, op. cit., pp. 361-364.
7 S. Francesco, in T. Nediani, op. cit., pp. 96-100.
8 La pecorella, in T. Nediani, op. cit., pp. 92-93.
9 Per citare solo le città degli omonimi sonetti francescani del D’Annunzio. È ovvio che tutti questi non sono che alcuni dei tanti riferimenti possibili in letteratura. Sulla «dolcezza» del paesaggio umbro-francescano nel D’Annunzio, cfr. anche Le Faville del maglio, e il nostro commento, pubblicando in «Studi e Ricerche francescane» di Napoli, sulla «pace» e il «tormento» del «San Francesco» dannunziano.
10 Tommaso da Celano, Vita seconda, 165, in Fonti Francescane (sigla FF), Assisi 1878, tr. Saverio Colombarini, p. 685.
11 Passeggiata francescana, in T. Nediani, op. cit., p. 257.
12 Eugenio Montale, in Spesso il male di vivere, non è stato così generoso con il «falco». Non intendiamo affatto, però, offuscare la tenace ricerca del «bene» da parte del poeta, nella sua commovente conflittualità degna di venerazione e ricca di insegnamenti.
13 Tommaso da Celano, Trattato dei miracoli, IV, 25, in FF, pp. 753-754, tr. T. Lombardi e M. Malaguti. Cfr. anche Vita seconda, 168.
14 T da Celano, Vita seconda, 167 e 171, in FF, pp. 687 e 689 – 690.
15 Rispettivamente, 51, in FF, p. 1217, tr. Vergilio Gamboso, e 118, in FF, p. 1433, tr. Vergilio Gamboso. Per l’episodio dei topi, cfr. Leggenda perugina, 43, Specchio di perfezione, 100, I Fioretti, XIX.
16 Cfr. Regola non bollata, VII, 4; Regola bollata, V, 2-5; Testamento, 24-26. Cfr. T. da Celano, Vita prima, 39; Cronache e altre testimonianze, Conversazione XV, 127, in FF, p. 2084: nella «povertà», il «lavorare» per vivere è un «gradino superiore» a quello della «mendicità».
17 Leggenda perugina, 51 e Specchio di perfezione, 118, in FF, pp. 1217 e 1433. Stessa referenza per la cit. successiva.
18 T. da Celano, Vita seconda, 165, in FF, p. 685. Cfr. Specchio di perfezione, 118 e Leggenda perugina, 51. Stessa referenza per la cit. successiva.
19 San Francesco, vv. 6, 7-15, 18-19, 20-21, in T. Nediani, op. cit., pp. 355-356.
20 Cfr. nota 18.
21 Cfr. nota 17.
22 Giuseppe Faggin, Spiritualità medievale e moderna. Francesco d’Assisi. Maestro Eckhart. Il misticismo oggi, Vicenza 1978, pp. 17-18.
23 Sintetiche ma significative al riguardo le parole del padre Ermete: «il rispetto […], la sincerità, l’onestà, il senso della responsabilità», che non possono disgiungersi dallo «spirito di sacrificio e il senso del dovere», sottendono il magistero di san Francesco offertoci dal suo rapporto con le creature (È vero che i nostri figli sono cambiati?, in «Campane di Rendena», n. 70, Estate 1982, p. 66).
24 P. Eliseo Onorati, San Bernardino da Siena nel VI centenario della nascita (1380 -1980), Trento 1980, pp. 32 e 34. Stessa referenza per le cit. successive.
25 Cfr. Bonaventura, Leggenda minore, III, Lezione VI.
Nel luogo francescano di S. Antonio in Mavignola – Agosto 1982
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